Umberto Delle Donne: un operaio nella fabbrica di Dio e in quella umana

Il 4 novembre scorso è morto il pastore battista Umberto Delle Donne. Nato a Napoli nel 1935, Umberto viene battezzato dal pastore Vincenzo Napoleone nella chiesa battista di Napoli-via Foria nel 1956. Studia teologia negli anni 1958-1961 all’Istituto biblico di Fiascherino-Lerici (Imei), avendo come professori Michele Sinigaglia, Enrico Paschetto e Domenico Maselli. Viene consacrato ministro a Torre del Greco nel 1959, prima di trasferirsi a Pozzuoli, chiamato dal pastore Pasquale Russo nel 1964. È qui che la sua predicazione dell’Evangelo ha un nuovo slancio sul piano teologico e spirituale, spingendolo verso un’attenzione al mondo operaio e ai poveri. Scelse di annunciare la speranza del Regno di Dio ai minimi e agli emarginati: per questo scelse di fare il «pastore operaio», impegnato nel sindacato di fabbrica, prima alla Saimca di Baia, e poi all’Italsider di Bagnoli fino al giugno 1981. Dal 1° gennaio 1978 diventa pastore dell’Ucebi ed è pastore delle chiese di Altamura, Pozzuoli, La Spezia, Roma-Garbatella. Nel 2007, all’età di 72 anni, entra in emeritazione. Umberto Delle Donne ha svolto incarichi di responsabilità per l’Unione battista, prima come membro del Comitato esecutivo (1982-1986), poi come vicepresidente dell’Ucebi (1988-1990). Umberto ha avuto accanto a sé una preziosa compagna, Antonietta Cecconi, che ha condiviso il suo lavoro, sia nei momenti gioiosi sia in quelli dolorosi. Dal loro matrimonio sono nati Davide, Pietro Valdo, Daniela, Miriam e Paolo. Il funerale è stato celebrato il 6 novembre alla chiesa battista di Roma-Garbatella, con la predicazione della pastora Silvia Rapisarda. Nel corso del culto il pastore Raffaele Volpe, presidente dell’Ucebi, a partire dal testo di Matteo 10, 8c-10 «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date», ha condiviso un ricordo personale del pastore Delle Donne di cui riportiamo di seguito alcuni passaggi. «Se debbo fare una lista delle cose che ho imparato dal mio pastore la gratuità viene senz’altro al primo posto. Umberto è stato sempre un comunista, credo che se potesse reclamarlo in questo momento lo farebbe con quella passione sua tipica che un po’ gli ha consumato il cuore. È stato un vero comunista cristiano, cioè il suo comunismo si fondava pienamente sull’Evangelo di Gesù. (…) Un comunismo cristiano le cui radici si trovano ben salde nella gratuità di Dio. Eppure mai ingenuo è stato il suo sguardo sul mondo. Ci ha insegnato a guardare il mondo con gli occhi di chi non ha occhi. Ci ha insegnato a comprendere quanto gli interessi fanno la storia, quanto i processi economici non sono neutri meccanismi naturali, e quanto l’Evangelo di Gesù Cristo non è un comodo luogo per osservare il mondo con indifferenza e semmai per giudicarlo, ma è la pasta originaria per trasformare il mondo. Sì, trasformarlo, perché Umberto ci ha insegnato, dal pulpito della gratuità, ad amare il mondo, amare le donne e gli uomini, amare gli ultimi, amare con tutto noi stessi quel che Dio ci ha donato. Amare così tanto il mondo da non rinunciare a trasformarlo, nel nome del Regno di Dio, modello, seme, orizzonte di ogni trasformazione. È sulla gratuità che Umberto e Antonietta hanno fondato la loro vita. Gratuitamente hanno ricevuto e gratuitamente hanno dato. (…) E sulla loro gratuità si fonda la nostra gratitudine. La gratitudine di chi ha avuto la gioia di poter essere loro accanto per molto tempo. Gratitudine a Dio perché si è voluto servire di questo suo servo per nutrire chi, come noi, aveva fame di verità e di giustizia. La nostra è stata una generazione assetata e affamata di verità e giustizia. (…) Umberto ha saputo raccogliere la nostra intollerante sete per il “tutto e subito” è ci ha decorato nell’anima la conoscenza di una verità che non è fatta di concetti, ma del volto di Cristo e quindi del volto di ogni essere umano; ha con pazienza livellato le nostre asperità e ci ha restituito una giustizia che sa accogliere i cambi di stagione e imparare a sopportare l’inverno senza farne un dramma. (…) Ma non ho ancora detto quella parola di cui Umberto andava fiero, quella parola che se pronunciata accendeva i suoi occhi di un entusiasmo quasi fanciullesco: operaio. (…) Umberto è stato un operaio sia della fabbrica di Dio che della fabbrica dell’uomo, e così come ha imparato a fondere il ferro e trasformare la materia, ha imparato a fondere la Parola di Dio e a trasformare lo spirito umano. E ora l’operaio di Dio, con la sua tuta da lavoro consunta, ma con sul volto la luce eterna della gratitudine, è tornato alla misteriosa casa del Padre. Avrà sentito suonare l’ultima sirena. Suvvia, la fatica è finita, è l’ora di intraprendere la strada di casa. E il tuo passo non è incerto, caro Umberto, è un passo spedito, niente ti appesantisce, non hai argento o oro da portare, né rame o sacche da viaggio, né hai tuniche né calzari, né bastone. In vita hai rinunciato, per gratitudine a Dio, a tutto questo, e ora il tuo passo è leggero e veloce. Va, caro Umberto, alla casa di tuo e nostro Padre, ogni operaio è degno del suo nutrimento. E tu sei degno del nutrimento che Dio ha preparato per te. La tua tavola è imbandita e la tua coppa trabocca. Va, caro Umberto, e quella rivoluzione che non siamo riusciti a fare, non preoccuparti, la vedremo nel giorno della risurrezione».

(da Riforma numero 43 del 15 novembre 2013)

Novembre 13, 2013