I BATTISTI breve nota storica di Franco Scaramuccia
L’Unione Cristiana Evangelica Battista (U.C.E.B.I.) raggruppa circa 120 Chiese sparse su tutto il territorio nazionale per un totale di 5.000 membri adulti effettivi ed una popolazione totale di circa 15.000 persone.
Il paese in cui i Battisti sono maggiormente presenti sono gli Stati Uniti d’America, dove sono quasi 31 milioni : è noto che sono battisti l’attuale presidente Bill Clinton ed il vicepresidente Al Gore come furono pure battisti i presidenti Harry Truman e Jimmy Carter. Il più conosciuto in Italia fra i Battisti d’America è probabilmente il pastore Martin Luther King (1929-1968), premio Nobel per la pace nel1964.
Il movimento battista nacque nel contesto più ampio della Riforma protestante e in particolar modo in quello tipico dell’Inghilterra del 1600. Così facendo, non viene presa in considerazione l’ipotesi, dibattuta fra gli storici, che fa risalire il Battismo agli Anabattisti (il cui nome significa “ribattezzatori”) del ‘500 e viene seguita l’opinione prevalente che esclude l’ipotesi di una dipendenza storica diretta dell’uno sugli altri.
I Battisti, poiché ritenevano che di fatto le Chiese riformate rimanevano legate alla logica del connubio del potere ecclesiastico con quello politico, che tanto male aveva fatto alla Chiesa, contrapposero a questa visione l’idea di una comunità volontaria e libera di credenti impegnati a tradurre in pratica la loro professione di fede nella vita sociale e religiosa.
Collocare il Battismo nell’alveo della Riforma è essenziale per comprendere il carattere specificamente congregazionalista delle Chiese battiste in Italia, in modo che esso non sia confuso con altri movimenti di tipo congregazionalista presenti nella grande famiglia cristiana. Per “congregazionalismo” si intende un sistema ecclesiastico che si fonda sull’autonomia e sull’indipendenza della Chiesa locale (princìpi che poi serviranno di base alle democrazie occidentali moderne). E inoltre é importante che si capisca che il Battismo non nasce per un esagerato rigorismo di letteralismo biblico, teso a ripristinare la pratica del battesimo per immersione dei soli credenti, ma per l’ansia di rifondare tutta la Chiesa sm fondamenti della Scrittura e nel rispetto della consapevolezza dei cristiani.
Le istanze di riforma della Chiesa d’occidente erano già diffuse in tutta Europa quando Martin Lutero affisse le sue novantacinque tesi alla porta della Chiesa del castello di Wittemberg : così anche in Inghilterra vi erano stati vari tentativi di riportare la Chiesa ad una maggiore fedeltà all’Evangelo (basti citare qui John Wycliffe e il movimento dei Lollardi). Della Riforma luterana approfittò, per motivi di carattere politico ed economico più che per convinzione, Enrico VIII Tudor, che a partire dal 1530 fece approvare dal Parlamento leggi e disposizioni tali da modificare abbastanza vistosamente l’istituzione ecclesiastica inglese, sostituendo il re al papa come capo della Chiesa d’Inghilterra. Ma era un riordino che veniva dall’alto e che introduceva un tipo di rapporto tra Stato e Chiesa, per cui il potere civile veniva ad avere piena giurisdizione sulla Chiesa. L’opera di Enrico VIII fu continuata sotto Edoardo VI Tudor (1538-1553), per l’azione propulsiva di ecclesiastici filoluterani, tra cui primeggiava Thomas Cranmer, e di una classe politica anch’essa filoprotestante, i cui nomi più eminenti furono Thomas Cromwell, Edward Seymour, cavaliere di Hartford e duca di Somerset, e John Dudley, cavaliere di Warwick e duca di Northumberland.
La breve parentesi del regno della cattolica Maria Tudor (1516-1558), con la persecuzione e l’esilio di molti inglesi nell’Europa continentale, ebbe l’effetto involontario di creare stretti vincoli tra gli esiliati protestanti e la Riforma calvinista, per cui da allora in poi Ginevra e non più Wittenberg (il centro della Riforma luterana) divenne il punto di riferimento delle aspirazioni riformatrici in Inghilterra. Salì al trono Elisabetta I Tudor (1533-1603) e sotto questa grande e scaltrissima regina fu realizzata quella sistemazione della Chiesa, denominato “compromesso anglicano” (Anglican Settlement), il cui teorico insigne fu Thomas Hooker.
Lo scontro tra le proposte di riforma radicale della Chiesa (roots and branches, come si diceva, cioè dalle radici ai rami) e la pratica applicazione del compromesso produsse quel tipico fenomeno della Riforma inglese, che darà origine alle “denominazioni” protestanti dissenzienti e “non conformiste”. I fautori di una purificazione reale e globale della Chiesa furono chiamati Puritani, anche se tra loro vi erano posizioni e tendenze diverse: infatti, vi era chi propendeva per una riforma dall’interno della Chiesa ed aveva quindi fiducia nella buona volontà del re e dei suoi ministri e vi era chi non condivideva affatto questo ottimismo. Così, verso la fine del regno di Elisabetta I, quei gruppi, che già si riunivano separatamente per realizzare a margine della parrocchia anglicana la loro esperienza di comunità fraterna, basata sull’Evangelo, e la mutua disciplina, presero una loro fisionomia ecclesiastica indipendente e formarono le prime Chiese separate da quella ufficiale (di qui l’aggettivo “separatista”), indipendenti tra di loro e da qualsiasi autorità od organismo gerarchico (di qui l’aggettivo “indipendentista”) e strutturate in comunità (congregations) democratiche in omaggio alla dottrina del sacerdozio universale dei credenti (di qui l’aggettivo “congregazionalista”) .
I primi Battisti, dunque, emergono da questo quadro complesso, appassionato, m cm all’ansia di ridare tutta l’autorità in materia di fede alla Parola del Signore s’intrecciarono un amore profondo per un’autentica fede evangelica e un diffuso anelito di libertà democratica. Fu quello del separatismo congregazionalista un movimento vivace con conseguenze al tempo stesso nel campo religioso e in quello civile, che anticipò di quasi due secoli le istanze della rivoluzione liberai borghese in terra di Francia. Fu merito di questo frastagliato fronte separatista se l’Inghilterra non imboccò mai il vicolo cieco dell’assolutismo monarchico, trionfante in tutto il resto dell’Europa, e diventerà l’esempio più stabile e brillante di democrazia civile.
Le prime notizie storicamente accertabili di Battisti si riferiscono ad un gruppo di esuli separatisti inglesi, che, guidati da John Smyth e dal suo compagno Thomas Helwys, trovarono rifugio ad Amsterdam intorno al 1609. Erano separatisti ma lo erano a modo loro. Intanto non erano dei convinti indipendentisti, tanto è vero che subito cercarono contatti con i Mennoniti olandesi e con essi intavolarono trattative di unione. I Mennoniti costituivano un ramo dell’Anabattismo pacifista, sviluppatosi a partire dai Paesi Bassi sotto la guida e l’ispirazione di Menno Simons (1496-1561). Forse fu in queste circostanze che si convinsero che il battesimo loro impartito da una Chiesa come quella anglicana, che ritenevano impura, e senza l’assenso della fede personale del battezzato, era un battesimo illegittimo e invalido. Fu forse qui, in terra d’Olanda, che capirono che l’unica porta d’ingresso alla Chiesa di Cristo non può consistere soltanto in una decisione volontaria, magari suggellata dalla firma di un “patto ecclesiastico”, ma dev’essere il battesimo dei credenti, segno della morte con Cristo e della nascita a nuova vita per la potenza della Sua risurrezione.
John Smyth, dopo lunghe incertezze, si battezzò da sé e poi battezzò Thomas Helwys e ambedue battezzarono il resto del gruppo: nacque così la prima piccola Chiesa battista. Questo fu un atto temerario per varie ragioni : innanzi tutto l’autobattesimo di Smyth costituisce una soluzione teologicamente ingiustificata, anche se va detto che i Mennoniti non accettarono di amministrare loro il battesimo. E poi lo stesso Smyth considerò questa procedura come il minore dei mali e mai come una soluzione soddisfacente. Questi primi Battisti furono immediatamente considerati Anabattisti e per questo motivo si trovarono esposti ad un destino di persecuzioni, spesso feroci, da parte di tutti: Anglicani, Cattolici, Luterani, Presbiteriani e perfino i loro fratelli Congregazionalisti.
Oggi, dopo quasi quattro secoli, possiamo dire, senza tema di smentite, che i Battisti furono o perseguitati o mal tollerati da tutti, ma non perseguitarono mai alcuno e tollerarono tutti. Quei primi Battisti non intesero fondare una setta, anche se le circostanze e taluni eccessi li costrinsero sovente a vivere da settari. Essi volevano semplicemente la rifondazione della Chiesa su basi seriamente bibliche e fraterne e su un fondamento di consapevole libertà. John Smyth, lui che aveva sempre dovuto lottare e polemizzare, alla fine della sua vita scrisse le seguenti nobili parole : “Io non mi ritrovo nel novero di quanti presumono di avere per sé una tale conoscenza plenaria, una tale certezza dei loro sistemi di vita e una tale perfezione e sufficienza connessa con questi sistemi, che si sentono autorizzati a censurare tutti ad eccezione di quanti condividono le loro idee e che esigono da tutti, pena la dannazione, di sottoporsi e soggiacere alloro modo e alloro livello di giudizio e di vita… E la pena che ho nel cuore è che per così lungo tempo mi sono caricato di questo grave peso… Diversità di giudizio su questioni contingenti, come sono tutte quelle che riguardano l’esteriorità della Chiesa, non mi indurranno più a rifiutare la fratellanza di qualsiasi cristiano che viva nel ravvedimento e nella fedeltà” .
John Smyth morì in Olanda. Parte del gruppo rimase e forse fu assorbito nella Chiesa mennonita, l’altra parte tornò in Inghilterra sotto la guida di Helwys intorno al 1611, cioè sotto il regno di quel Giacomo I Stuart che non fu certo tenero con chi non si conformava alla Chiesa di Stato. Non mette conto qui seguire tutte le vicissitudini dei primi Battisti: quello che invece è necessario far rilevare è un complesso di caratteristiche che qualificano la loro concezione della Chiesa. Innanzitutto va notato che le prime Chiese battiste sorsero quasi tutte, per quanto ci è dato sapere, in modo spontaneo, nel senso che spesso vennero all’esistenza quasi contemporaneamente e indipendentemente le une dalle altre: sono, diremmo noi oggi, Chiese di base. I leaders fondatori furono per lo più semplici popolani, talora dei mercanti o artigiani, raramente dei pastori o teologi dell’alveo puritano. Questa notazione è importante, perché testimonia del fatto che il carattere congregazionalista e democratico delle Chiese battiste non è frutto di elaborazione ideologica, ma espressione di un’esigenza evangelica alimentata dalla fede nel sacerdozio universale dei credenti. Ad esempio, Thomas Helwys aveva avuto una certa preparazione teologica a Gray’s Inn, ma la confessione di fede del suo gruppo fu il frutto dell’elaborazione comunitaria, come egli stesso attesta; Benjamin Keach era un sarto e fungeva da pastore della chiesa di Winslow; John Murton, coadiutore e successore di Helwys, era un pellicciaio.
In secondo luogo va evidenziata la chiarezza della posizione separatista non solo riguardo alla Chiesa stabilita, ma anche verso lo Stato in sé. I Battisti erano convinti, come tutti i separatisti, che la riforma della Chiesa doveva essere realizzata mediante il libero dibattito condotto sul fondamento dell’Evangelo. Per loro era una questione di fedeltà al Signore, un dovere dei veri credenti. Perciò il potere politico (the Magistrale) non poteva e non doveva avere parte alcuna in questo àmbito. Una riforma imposta dall’alto e con metodi di controllo da parte dello Stato poteva produrre solo costrizione degli spiriti, conformismo religioso e soprattutto snaturava la funzione stessa del potere politico. Essi, perciò, affrontarono e risolsero in maniera cristallina la questione dell’autorità. Il regno di Cristo, essi affermavano, è un regno spirituale e perciò il potere della sua Chiesa è soltanto spirituale. Ciò vuol dire che l’autorità e il potere sono quelli della Parola del Signore.
D’altra parte i Battisti si distinguevano anche dagli Anabattisti perché proprio la difesa ad oltranza della spiritualità della Chiesa li portava ad affermare, diremmo noi oggi, la piena laicità dello Stato. Il governo civile è voluto da Dio, come dicono le Scritture, e pertanto esiste un dovere dei cristiani di parteciparvi nella duplice veste di protagonisti e di sentinelle profetiche. L’uso della forza di per sé non è né bene né male: la valutazione dipende dal fatto che un governo la usi per la giustizia o per l’oppressione. Tanto convinti erano i Battisti di questa dottrina, che essi parteciparono attivamente alla rivoluzione inglese del 1640. Ma vi parteciparono in posizione critica, sia contro gli estremismi millenaristici, sia contro le degenerazioni autoritarie di Oliver Cromwell. Anche in queste circostanze ad essi stava a cuore la difesa della libertà e della democraticità del sistema, ma in questo non riuscirono per molte ragioni ad imporsi. Una delle ragioni era certamente che essi volevano la libertà anche per i Cattolici, a patto che tale libertà non fosse sfruttata dalle pretese dei sovrani assoluti europei o dagli interessi politici della corona britannica. Questa posizione fu evidente ai tempi di Giacomo II Stuart, sovrano filocattolico, che fece di tutto per riportare l’Inghilterra nell’area cattolica. Egli voleva abrogare perfino le leggi sull’uniformità religiosa, cercando per questo l’appoggio di Indipendentisti e Battisti. Questi ultimi, però, avendo compreso lo strumentalismo della manovra, rifiutarono il piatto di lenticchie e preferirono rimanere discriminati e perseguitati pur di non accettare la promessa di una libertà effimera e non genuina.
In terzo luogo, va sottolineato il senso e l’importanza che il battesimo dei credenti aveva in ordine alla costituzione e all’esistenza della Chiesa. Infatti ora, avendo descritto le origini e le istanze fondamentali dei primi Battisti, siamo in grado di capire perché il battesimo dei credenti non era fondato su un puro e semplice motivo ideologico, come travisamento del principio basilare della Riforma, Sola Scriptura, in senso letteralistico. Il battesimo dei credenti era finalizzato alla rifondazione della vita degli individui sulla base della confessione di fede e di peccato (nuova nascita, ravvedimento) e quindi alla rifondazione della Chiesa come “compagnia” di credenti impegnati nella predicazione dell ‘Evangelo, nella realizzazione della fraternità e nell’impegno di “purificazione” della società dalle ingiustizie e dalle storture da cui era affetta. In conclusione, dunque, è opportuno sottolineare tre punti che caratterizzano in modo inequivocabile i Battisti inglesi del XVII secolo : il carattere congregazionalista ma non indipendentista della Chiesa locale; il separatismo nei confronti dello Stato (ma ancora una volta diverso da quello degli Indipendentisti, dei Presbiteriani e degli Anabattisti) e quindi il principio di libertà; infine, il battesimo dei credenti come obbedienza alla Parola del Signore e fondamento teologico della vera Chiesa in un libero Stato.
Fu molto importante anche lo sviluppo dei Battisti in America, dove emigrarono a seguito dell’intolleranza e della conseguente persecuzione in Inghilterra. In particolare ricordiamo Roger Williams (1604-1683), fondatore insieme a John Clarke nel 1639 della prima Chiesa Battista d’America, che dovette fuggire dal Massachussetts (1635) a causa delle sue idee di democrazia e libertà. Soggiornò per un periodo con gli indiani, che lo trattarono più civilmente dei suoi compatrioti. Da essi acquistò un territorio e fondò nel 1636 la colonia di Providence (dove sorge l’attuale stato di Rhode Island), i cui principi costitutivi garantivano la libertà di religione non solo a tutti i cristiani (Cattolici e Protestanti di ogni sorta) ma anche ad ebrei e pagani. Williams è solo il più eminente dei Battisti: ma gli oscuri suoi fratelli e sorelle in fede non furono mai da meno, sia nelle colonie del Nord come in quelle del Sud, dove la Virginia primeggia per l’apporto politico dei Battisti. In tutto questo, ciò che animò i Battisti non fu solo la proclamazione della libertà religiosa ma l’esercizio della libertà di religione. I Battisti americani non aumentarono gran che fino agli anni precedenti la rivoluzione (1775 – 1783), ma nel 1790 essi erano assai più numerosi e molti di loro avevano posti di responsabilità sia nel commercio, sia nella struttura civile della nuova repubblica.
Precisati in questo modo gli inizi del movimento battista, esso può apparire come un prodotto d’importazione. In realtà l’idea, pur proveniente dall’estero, trovò però favorevole accoglienza proprio fra alcuni figli del Risorgimento: combattenti per la libertà, che trovarono in alcuni dei principi distintivi dei Battisti (battesimo dei credenti come risposta alla grazia di Dio, partecipazione di tutti i credenti all’organizzazione della comunità, separazione netta fra Stato e Chiesa) la risposta alle loro aspirazioni ideali. E’ dunque dall’incontro fra i principi di fede del Battismo, così come predicato dai primi missionari inglesi e americani, e le idealità del Risorgimento che nacque e si sviluppò in Italia il movimento delle Chiese Battiste.
I primi missionari battisti, che furono inglesi, arrivarono in Italia nel 1863 e dopo la breccia di porta Pia nel 1870 arrivarono a Roma anche gli americani della Southern Baptist Convention.
Essi furono da subito assistiti da “evangelisti” (così furono chiamati quelli che oggi chiameremmo “pastori”) italiani, spesso provenienti (con molte comunità) dalle Chiese Libere italiane, che erano nate in maniera spontanea principalmente ad opera di esuli per ragioni politiche, poi rientrati in patria, che volevano esprimere così nella fedeltà all’Evangelo il loro desiderio di emancipazione. Si ebbe così il felice innesto delle idee battiste in un contesto tipicamente italiano. Ciò conferisce al Battismo del nostro paese caratteristiche uniche, nel senso che il modo battista di esprimere la fede si fuse con le idealità del Risorgimento, nel cui ambito e nel cui clima erano nate appunto le Chiese libere in Italia. Che cosa ha spinto quei Liberi ad entrare nelle Chiese battiste? Senz’altro la tensione verso la libertà, che é concezione fondamentale e vitale fra i Battisti; il battesimo dei credenti poi, che esprime in maniera visibile l’ingresso nel popolo di Dio, fu certamente visto come particolarmente significativo per esprimere il passaggio da un modo di vivere la fede, che essi rifiutavano o con cui non consentivano, ad una nuova concezione dell’essere Chiesa.
I primi predicatori italiani e stranieri incontrarono molte difficoltà a causa principalmente del clero e delle autorità, da esso fomentate ma coloro che entravano a far parte delle Chiese battiste ne ebbero forse di più. Non solo essi venivano trattati come eretici indemoniati e traditori della fede dei padri ma venivano anche perseguitati con ogni sorta di vessazione: non trovavano lavoro e, se lo avevano, lo perdevano; sposarsi diventava una guerra, se il coniuge non era evangelico; gli amici si dileguavano come nebbia al sole; alcuni furono fisicamente picchiati e rischiarono la vita; per non parlare dei funerali, che si risolvevano spesso in autentiche lotte dei parenti cattolici per sottrarre il cadavere al pastore evangelico.
Un’importante caratteristica della prima evangelizzazione dei Battisti, come pure degli altri evangelici italiani, fu l’istituzione di scuole. Così l’americano van Meter si occupò dell’organizzazione e del mantenimento di asili per l’infanzia con refezione scolastica a Roma, a Modena e a Frascati. A La Spezia l’inglese Clarke iniziò il suo lavoro aprendo subito una scuola contemporaneamente alla Chiesa fino ad arrivare ad avere nel ‘900 un istituto scolastico e due orfanotrofi (femminile e maschile). Non é un caso che queste varie opere di istruzione furono letteralmente spazzate via dal fascismo: un segno indubbio del loro carattere laico e progressista. Anche l ‘inglese James Wall, aiutato validamente da sua moglie, organizzò a Roma una scuola e una mensa annessa. Come per le altre Chiese evangeliche italiane del tempo, l’evangelizzazione non fu mai separata da un’intensa attività educativa.
Le tre missioni battiste operanti in Italia (due inglesi ed una americana) si svilupparono lentamente ma ponendo basi sicure. L’inglese Spezia Mission, dopo un iniziale sviluppo nella città di La Spezia (furono aperti locali a Marola, Arcola e Lerici) si estese a Pistoia e infine a Treviso e Pordenone: negli ultimi anni del secolo, Clarke fu prima affiancato e poi sostituito alla guida della missione da Arrigo Erberto Pullen. Le altre due missioni, quella della Southern Baptist Convention (dove nel 1873 Cote era stato sostituito da George Boardman Taylor, che riorganizzò il lavoro e gli diede un particolare impulso negli anni a venire) e quella inglese della Baptist Missionary Society (dove Wall sarà affiancato da W. Kemme Landels), ebbero uno sviluppo a più ampio raggio, consentito certamente anche dagli aiuti, che venivano dalle Chiese battiste inglesi e americane. Da Roma a Bari, a Barletta, a Torre Pellice, a Milano, a Lodi, dove furono ben presto aperte sale di culto, l’opera si estese in tutta Italia. A Napoli l’evangelizzazione battista era stata iniziata in maniera indipendente dal conte O. N. Papengouth, che si collegò successivamente agli altri. Nacque la prima rivista dei Battisti italiani nel 1876, Il Seminatore: oltre ad ospitare articoli di edificazione e di controversia dottrinale, ogni numero portava le notizie dei progressi delle Chiese battiste in Italia. Il Seminatore cessò poi la pubblicazione (tornerà in anni successivi come organo di evangelizzazione) nel 1882; esso sarà sostituito da Il Testimonio, nato nel 1884 come organo ufficiale dell’Unione Cristiana Apostolica Battista, che da quell’anno raggruppò tutte le organizzazioni battiste in Italia.
Dopo la tempesta della prima guerra Mondiale, mentre la Spezia Mission continuò la sua attività per conto suo, la Baptist Missionary Society si ritirò dall’Italia nel 1922 cedendo il campo all’organizzazione americana. Cominciò per il Battismo italiano un periodo di consolidamento e crescita, anche se cominciarono nuove difficoltà. Infatti il Battismo dovette fare i conti con la “marcia su Roma”, con l’avvento del fascismo, con la stipula del Concordato con la Chiesa cattolica, con l’emanazione delle leggi sui “culti ammessi”. In questo momento, sempre di più, essere Battisti e protestanti, significava essere nemici; nemici della religione di Stato, nemici del partito al potere, pericolose “quinte colonne” al servizio di missioni straniere, che, secondo il fascismo, non facevano l’interesse del nostro popolo. La persecuzione clericale mai placatasi, specie nelle campagne diventò in questo periodo persecuzione poliziesca sempre più sistematica. Forse solo l’esiguità del numero mise i Battisti al riparo di un’azione consistente e generalizzata. L’evangelizzazione divenne sempre più difficile e la vita di molti gruppi fu fortemente condizionata dalle attività di polizia.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale e la tragedia che ne seguì procurarono alle Chiese battiste seri problemi. I culti furono continuati come fu possibile ma i pastori sbandati e senza sostentamento furono costretti a gravissimi sacrifici. Le attività delle Chiese furono quasi spazzate via ma la cosa più negativa fu che si accentuò in questi anni l’isolamento e una certa pietà introversa sia nelle comunità, sia nei singoli. Le cose peggiorarono ancora nel periodo in cui l’Italia era tagliata in due dalle operazioni belliche. Furono tempi amarissimi, specie per i pastori che non avevano la possibilità di procurarsi un’integrazione di stipendio. Fu interessante anche il rapporto dei Battisti con la Resistenza antifascista. Qualche pastore fu imprigionato, perseguitato, picchiato; alcuni pastori furono inviati al confino; parecchi battisti furono partigiani e diversi morirono per questo; alcune donne battiste operarono come staffette o al sostentamento di squadre partigiane.
In linea generale, va riscontrato che le Chiese battiste uscirono dall’epoca fascista e dalla guerra assai ridimensionate e talora malconce, ma non furono distrutte o spazzate via. La forte fede, forse un po’ intimistica ma certamente cristallina e resistente, dei membri delle Chiese aveva tenuto. La testimonianza di coraggio di molti pastori non aveva fatto mancare i punti di riferimento e la sparizione dei missionari (che, a motivo della guerra, o erano rimpatriati o erano stati internati) non aveva affatto provocato alcun crollo di struttura e d’impegno : la grande prova non era dunque passata invano. Sicuramente le Chiese battiste che uscirono da questa esperienza erano diverse da quelle dell’anteguerra e quindi si preparava una svolta importante.
Nel secondo dopoguerra ci fu uno sviluppo costante: intanto il numero dei membri raddoppiò in poco tempo, fino a raggiungere quello attuale. Nel 1956 nacque l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia con statuto autonomo dalla missione americana e con responsabilità proprie. E subito dopo fu fatto un altro passo decisivo verso la sistemazione giuridica del movimento battista nell’ordinamento italiano : accanto all’Unione venne istituito l’Ente Patrimoniale dell’U.C .E.B.I. Mentre l’Unione rappresentava la confessione, nel senso in cui se ne parla nell’art. 8 della Costituzione e che quindi come tale non aveva bisogno di un riconoscimento governativo, veniva costituito un ente avente personalità giuridica, in grado dunque di essere intestatario della proprietà dei beni. Fino ad allora a questo scopo si era ricorsi alla creazione di società a responsabilità limitata (che tali non avrebbero potuto essere perché non avevano in realtà fini di lucro, secondo quanto é previsto dalla legge), come la Spes S.r.l. e la Philadelphia S.r.l., o addirittura si erano intestati i beni, anche quelli acquistati con denaro italiano, alla missione americana, che aveva il riconoscimento in base all’art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale. L’Ente Patrimoniale fu riconosciuto con decreto del Presidente della Repubblica in data 20 gennaio 1961. Nel 1966, infine, le Chiese, che dipendevano dalla Spezia Mission decisero di confluire nell’Unione, per cui da allora opera in Italia un’unica organizzazione che raggruppa tutti i Battisti italiani.
A partire dagli anni ’80 la spinta verso l’autonomia divenne sempre più forte: fu rivisto il patto costitutivo, fu elaborato un nuovo regolamento, più articolato e completo, fu dotata l’Unione di una sua confessione di fede. Fu aggiornato lo statuto dell’Ente Patrimoniale, le cui modifiche furono approvate con decreto del Presidente della Repubblica del20 gennaio 1990. Il 1990 fu anche l’anno in cui ebbe luogo per la prima volta l’incontro fra le Chiese battiste, metodiste e valdesi: infatti fu tenuta a Roma dal 2 al 4 novembre una sessione straordinaria congiunta dell’Assemblea Generale dell’Unione e del Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste. In quella occasione le Chiese battiste, metodiste e valdesi formalmente si riconobbero “reciprocamente quali Chiese di Gesù Cristo sulla base di una comune comprensione dell’Evangelo, una comune vocazione di testimonianza e di servizio nel nostro paese e una comune condivisione delle posizioni di fede”. Fu approvato in quella occasione il “Documento sul reciproco riconoscimento fra Chiese battiste, metodiste e valdesi in Italia”, in cui si prende atto delle differenze riguardo alla prassi battesimale ma si riconosce nel contempo che ciò non costituisce ostacolo alla loro collaborazione. In particolare si afferma che “laddove, indipendentemente dalla forma e dal tempo in cui il battesimo é stato celebrato, si riscontra in chi l’ha ricevuto la realtà dei suoi frutti, per cui grazie all’azione dello Spirito la sostanza del battesimo é presente in quella persona,” il credente, proveniente dalle altre due Chiese, é accolto nelle Chiese battiste, metodiste e valdesi come membro a pieno titolo. L’importanza di questo documento nell’ecumene cristiana é assai notevole per il fatto che riguarda confessioni battiste (cioè che battezzano i credenti) e pedobattiste (cioè che battezzano gli infanti) e grandi speranze ha fatto nascere nel campo della collaborazione fra le tre denominazioni evangeliche in Italia.
Nel 1993, poi, dobbiamo registrare altri due grandi eventi per i Battisti italiani. Innanzi tutto, la missione battista americana, onorando il suo debito d’amore, contratto più di cento anni prima con le sorelle e i fratelli italiani quando venne in Italia a predicare l ‘Evangelo, donò in quell’anno all’Ente Patrimoniale tutte le sue proprietà in Italia: tali beni riguardavano sostanzialmente locali di culto e sussidiari, che ancora le erano intestati. Così il cammino dell’Unione verso l’indipendenza poteva dirsi concluso definitivamente. Fu anche stretto un rapporto di collaborazione con la Baptist Missionary Society, l’agenzia missionaria inglese che aveva appoggiato l’inizio del lavoro battista in Italia: essa si è impegnata ad aiutare l’opera italiana mediante l’invio di pastori inglesi da inserire nei ruoli dell’Unione. Il secondo fatto importante fu la firma dell’Intesa fra il presidente dell’Unione e il presidente del Consiglio dei Ministri, avvenuta in Roma il 20 marzo 1993. Il terzo comma dell’art. 8 della Costituzione trovò così adempimento anche per quanto riguarda i Battisti, che videro così riconosciute dalla Repubblica Italiana alcune loro peculiarità. L’Intesa fu p01 approvata dal Parlamento con legge n. 116 del 12 aprile 1995.