La vita del credente è posta su un percorso che si trova in un tempo di “mezzo”, il tempo dell’attesa, nel quale si impara a diventare sempre di più figli e figlie di Dio
Helene Fontana
Qual è il momento più difficile di un percorso, fisico o mentale o progettuale? Credo il tempo “di mezzo”, quando l’energia e l’entusiasmo iniziali magari cominciano a venir meno e però la meta non è ancora a portata di mano. E si comincia a pensare che ci sia da aspettare ancora un po’ troppo prima di arrivare a destinazione, al risultato desiderato…
Credo che in genere preferiremmo non aspettare troppo prima di arrivare a una meta prefissata. Chi comincia ad andare in palestra vorrebbe vedersi in forma dopo non troppe ore di fatica… Chi si impegna a imparare una nuova lingua, chi inizia a prendere lezioni di pianoforte, chi comincia una dieta… sarebbe più contento di vedere i risultati subito. Ma il più delle volte non funziona così: bisogna invece avere pazienza, impegnarsi, non scoraggiarsi quando il percorso risulta difficile. Chi riesce a proseguire prima o poi qualche risultato lo vedrà!
Mi sembra che l’apostolo Paolo, nel testo di Romani 8, descriva la vita del credente come posta su un percorso che si trova in un tempo “di mezzo”. Descrive come si è dato il via a un progetto, o è in atto una trasformazione, ma la meta non è ancora stata raggiunta.
La trasformazione in questione è quella che farà di noi figli e figlie di Dio e che porterà la creazione tutta a essere ciò che era nell’intenzione di Dio: un luogo di pace, di armonia, di benessere, libera da conflitti, da violenza, dalle sofferenze e dalla mor-
te. Questa è la meta a cui siamo diretti. Paolo però mette questa radiosa speranza in contrasto con il presente, in cui invece sia la creazione sia i credenti “gemono”, sottoposti come siamo alle molte manifestazioni del male.
Il presente per Paolo è appunto una specie di “tempo di mezzo”, in cui sono in corso alcuni cambiamenti, ma non si vedono ancora i risultati finali. Il tempo più critico quindi, in cui bisogna resistere, credere nella bontà del progetto, non mollare ma guardare avanti e impegnarsi.
La meta può essere ancora lontana, ma Paolo scrive che qualcosa sta già cambiando. L’apostolo spesso ribadisce nelle sue lettere che noi che crediamo siamo già figli e figlie di Dio, siamo già entrati in una nuova relazione con lui, ci sono alcune “primizie dello Spirito”, si vedono cioè alcuni segni di un cambiamento. Ma d’altra parte Paolo sa anche molto bene che questa vita la viviamo comunque sempre in questo mondo, in questo corpo, con questa testa, e che tutto questo ci impedisce di vivere in modo anche solo adeguato il nostro essere figli e figlie di Dio. Dobbiamo ancora fare i conti con ciò che la Bibbia chiama peccato, tutto ciò, in noi e fuori di noi, che ci porta lontano da Dio e dall’essere quelle creature che Dio intende, libere dal male e dalla morte. Siamo già figli e figlie di Dio eppure non ancora.
La frustrazione di questa attesa non la viviamo poi soltanto noi. Paolo ricorda che non siamo soli e sole nel mondo, ma che facciamo parte di un insieme più grande, la creazione tutta, in cui ogni parte
è collegata alle altre. Ciò che facciamo e siamo noi ha conseguenze anche per il mondo che ci circonda e di cui siamo parte integrante, e che insieme a noi attende il giorno in cui il progetto di Dio si realizzerà pienamente.
Come vivere allora questo “tempo di mezzo”, il tempo dell’attesa? Chi va in palestra non può aspettare lo sviluppo dei muscoli per usarli… anzi, più usa quelli, forse deboli, che ha, più diventano forti. Chi impara una nuova lingua non dovrebbe aspettare a parlare fino a quando la conosce a perfezione; è usandola, anche imperfettamente, che si impara a parlare. E credo si possa dire più o meno la stessa cosa per quanto riguarda il nostro essere figli e figlie di Dio: non lo siamo in modo perfetto, siamo ancora sottoposti al male e portatori di tanti difetti, ma è cominciando dalle primizie dello Spirito, da quei cambiamenti che hanno già avuto inizio, che saremo sempre più simili a quelle persone che Dio vorrebbe che fossimo.
Ci avviciniamo ad esserlo a piccoli passi, di amore, misericordia, giustizia… a piccoli passi, perché il grande passo, quello decisivo, sarà di Dio. Ci penserà lui a fare di noi figli e figlie suoi, a fare del creato un luogo di pace e benessere, cioè a rivelare un giorno il suo Regno. Nel frattempo viviamo questo “tempo di mezzo”, sapendo che forse il percorso è ancora lungo, ma mettendo in campo le forze che abbiamo, confidando nell’aiuto dello Spirito e facendo “esercizio” per diventare sempre di più ciò che siamo: figli e figlie di Dio.