Isacco e Ismaele

Isacco e Ismaele

I due fratelli si ritroveranno insieme, alla morte di Abramo, per dare sepoltura al padre. Non essere eletti non significa essere respinti: la benedizione di Dio è per tutti e tutte
Paolo Ribet

A metà ottobre si è tenuto nella Cattedrale di Aosta un incontro interreligioso di  preghiera per la pace. La celebrazione era prevista da tempo; ma è indubbio che quanto stava succedendo in Israele dava alla nostra iniziativa un’attualità sconcertante. In quell’occasione il rappresentante dell’Islam ha ripreso il racconto del libro della Genesi e ha ricordato che sia i musulmani sia gli ebrei sono “figli di Abramo”, in quanto i primi discendono da Agar, attraverso Ismaele, e i secondi da Sara, attraverso Isacco. Partendo da questa constatazione, il rappresentante islamico ha affermato che “Isacco deve riconoscere Ismaele”. In queste parole ho letto (ma non era difficile accorgersene) un riferimento polemico ai fatti sanguinosi che stanno di nuovo incendiando il Vicino Oriente con una guerra fra Israele e i palestinesi di Hamas. Sono fatti di una violenza estrema che dicono tutto l’odio che è maturato e cresciuto negli anni fra le due parti in conflitto. Un odio – con il suo corollario della paura – che rende difficile ogni ragionamento pacato e ogni tentativo di ricomposizione del conflitto.

Questo riferimento al testo biblico mi ha spinto a rileggere il racconto della Genesi per verificare se sia così vero che lo scontro risalga agli inizi della storia, se in qualche modo Dio stesso abbia contrapposto due popoli o se noi troppo spesso non ci accontentiamo di una lettura tradizionale, superficiale dei testi – o addirittura di un loro riassunto che sorvola anche su dettagli importanti.

Senza ripercorrere l’intera vicenda, ricordiamo solo che, vista la sua sterilità, Sara spinge il marito ad avere un rapporto con la sua schiava Agar (era lecito farlo) in modo che potesse avere da lei un figlio. Nasce così Ismaele – il primo figlio di Abramo, a cui il Padre delle Nazioni rimane molto legato. Dunque, dal punto di vista legale, Ismaele è il primogenito, ma la promessa è per Isacco. Dio, nella sua libertà elegge una persona e il popolo che da lui nasce. E gli altri? Gli altri non hanno accesso alla promessa? 

Molte cose si potrebbero dire sul significato biblico dell’elezione, ma qui ci preme rispondere a una domanda più specifica – e anche più cogente, visto che l’inimicizia religiosa procura tanto sangue: siamo sicuri che sia così – che esiste un eletto e gli altri sono respinti? Il testo di Genesi 17 è illuminante: si apre con il rinnovamento del patto fra Dio e Abramo. A questo fa seguito l’annuncio della nascita di un figlio da Sara: sarà lui, Isacco, il figlio della promessa – lui che non nasce da volontà d’uomo, bensì da una donna sterile, per volontà di Dio. Abramo sembra non crederci. Anch’egli ride fra sé e sé pensando alla sua età e a quella di sua moglie. Purtuttavia, accoglie la promessa, a cui però fa seguire una richiesta accorata che testimonia l’affetto per il suo primogenito. Chiede al Signore che Ismaele possa restare con lui. Il Signore ribadisce il fatto che il figlio della promessa nascerà da Sara; ma anche Ismaele riceverà la benedizione. Non essere eletti non significa essere reietti, respinti – non c’è conflitto, non c’è inimicizia tra i due. E infatti Ismaele e Isacco si troveranno insieme, alla morte di Abramo, per dare sepoltura al padre. Questo è un fatto che si cita troppo poco. Può anche sembrare un particolare di poco conto, che invece ribalta tutto il giudizio sulla storia e che potrebbe rifondare su nuove basi i rapporti fra due popoli – è una storia di fratelli e non di nemici. La benedizione di Dio è per tutti.

Purtroppo, su una sorta di gioco di rivendicazioni di eredità si è fondata per secoli l’inimicizia tra le tre religioni abramitiche, e l’Islam ha rivendicato la primogenitura accusando gli ebrei di aver falsificato il racconto biblico, riscrivendolo per far emergere la figura eroica di Isacco. «Allorché queste fedi presero la decisione di vedere se stesse come eredi del patto abramitico, la ri-lettura fu inevitabile. Potremmo definirla la vendetta del rifiutato», scrive il rabbino inglese, di recente scomparso, J. Sacks, nel suo importante libro Non nel nome di Dio. Non è nel testo biblico, sostiene il nostro autore, non è nella Parola di Dio che si trova l’istigazione all’odio – e la storia di fratelli che avrebbero tutte le ragioni per odiarsi ma sanno riconciliarsi è per noi un insegnamento fondamentale. 

(Tratto da Riforma numero 45 del 1° dicembre 2023)
(nell’illustrazione: Matthias Stom (1615-1649), Sara porta Agar da Abramo)

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