150 anni di battismo: autonomia nella comunione e diversità nell’unità

Helene Fontana

Autonomia e comunione, diversità e unità. Sono concetti che si possono coniugare? Sembrerebbe difficile, ma i battisti hanno sempre creduto fermamente che fosse possibile, e il loro modo di vivere la fede e la chiesa già dall’inizio è stato caratterizzato dallo sforzo di cercare di tenere insieme questi opposti. I battisti trovavano (e trovano) la base per questo sforzo nelle Scritture, dai quali insegnamenti traevano sia l’affermazione che ogni gruppo di credenti riunitosi in comunità costituisce la chiesa di Cristo, e perciò è libera e autonoma nell’autogoverno, sia la convinzione che i credenti sono chiamati alla solidarietà ed alla missione condivisa. I nomi dati al movimento cristiano del 1600 da cui provengono i battisti sottolineano più che altro l’aspetto dell’autonomia e della diversità che caratterizzavano già i loro primi gruppi (ma ricordiamo che questi nomi venivano loro affibbiati da chi guardava il movimento dal di fuori, spesso da oppositori). Il terreno da cui sono cresciute le prime chiese battiste era, infatti, quello dell’ala indipendentista o separatista della Chiesa d’Inghilterra, il movimento di coloro che, diversamente dai puritani, non coltivavano più la speranza di riformare la chiesa dal di dentro, ma che vedevano come unica possibilità per costituire una chiesa «pura», secondo le prescrizioni bibliche, quella di separarsi dalla chiesa ufficiale per creare delle comunità indipendenti, formate da persone che avevano dato la loro libera e consapevole adesione alla fede. Seguendo questa logica, dagli inizi del 1600 diversi gruppi di credenti cominciarono a formare delle comunità. I gruppi condividevano ragionamenti e critiche, ma ciascuno si staccò dalla Chiesa d’Inghilterra e creò la propria comunità in modo indipendente, senza un piano o un’azione comuni. Questo spirito indipendente continuò a caratterizzare la vita dei gruppi e la natura delle comunità che essi formarono, e si nutrivano dalla lettura della Bibbia che, diversamente dai tempi antecedenti alla Riforma, ora era accessibile a tutti per l’interpretazione. Da questa lettura i gruppi separatisti erano giunti alla convinzione che il principio della Riforma del sacerdozio universale doveva essere vissuto in modo più radicale di quanto non avveniva nella loro chiesa di origine. Ciascun credente risponde in modo libero e diretto a Dio, e su questa risposta deve fondarsi anche la chiesa, la comunità di coloro che confessano la loro fede in Dio e che accettano di legarsi gli uni agli altri in un patto di solidarietà e di condivisione. Non ci vuole altro per essere chiesa, non sono obbligatori o necessari né legami con altre chiese/istituzioni, né l’esistenza di un’autorità istituzionale superiore. È «l’avere Cristo» l’unico presupposto per l’esistenza della chiesa, e Cristo si trova lì dove due o tre sono riuniti nel suo nome: la chiesa locale è perciò la Chiesa di Cristo. In base a questa interpretazione del testo biblico le prime chiese battiste sorsero come chiese pienamente autonome, ciascuna responsabile del proprio governo e della propria predicazione, e con la facoltà di scegliere i propri ministri. Ma la costituzione di queste prime comunità locali già presenta un indizio del fatto che i primi battisti non affermavano soltanto il valore dell’autonomia e il diritto alla diversità di pensiero e di organizzazione. Dagli inizi credevano anche nel valore della comunione e dell’unità. La fede, infatti, per questi credenti, nonostante sia un rapporto diretto con Dio, non è da vivere in isolamento, senza legami con gli altri. I credenti che confessano la loro fede sono chiamati appunto a riunirsi in comunità e a legarsi gli uni agli altri in un patto di solidarietà e di condivisione, spirituale e materiale. Un concetto, quello del patto, che rimane importante per molte comunità battiste fino ad oggi. Questa ricerca di comunione con altri credenti si evidenziò non solo a livello personale, ma anche a livello comunitario. Nonostante la ferma convinzione dell’autonomia della comunità locale, le stesse comunità cercarono da subito momenti di condivisione tra loro. Testimonianza di questo fatto si trova già nell’esperienza del «gruppo pioniere» di John Smyth che, arrivato in Olanda in fuga dalle persecuzioni subite dai gruppi separatisti in Inghilterra, come primo passo fece quello di cercare contatti con il gruppo mennonita locale. Contatto che poi si sarebbe rivelato fondamentale per l’adozione da parte dei primi battisti di quel segno che sarebbe diventato la loro caratteristica distintiva, e che più di ogni altro rappresenta la fede libera e consapevole della persona in Dio su cui si fonda la chiesa: il battesimo dei credenti, già in uso presso i mennoniti. La comunione e l’unità tra le comunità battiste si materializzavano anche in Inghilterra – e poi in tutti gli altri Paesi nei quali in seguito il battismo si espanse – nella forma di confessioni di fede condivise e nella creazione di associazioni e convenzioni. La Prima Confessione di Londra (1644) è l’esempio di una confessione condivisa, in questo caso da sette chiese battiste di Londra. Come alle confessioni di fede condivise che sarebbero seguite, anche a quella del 1644 le chiese aderirono in modo del tutto libero e volontario, fedeli al concetto dell’autonomia della comunità locale in materia di fede: una confessione di fede viene condivisa nella misura in cui rispecchia la fede della comunità, mai per imposizione di un’autorità superiore. Anche l’adesione alle associazioni e alle convenzioni che si crearono tra le chiese era libera, e l’associazione, anche se in contesti diversi avrebbe poi assunto caratteristiche e compiti diversi, non aveva mai potere decisionale sulle comunità locali. Erano spazi per la comunione spirituale e per la collaborazione materiale, agli inizi per il mutuo sostegno in tempi di persecuzione, più tardi per progetti di evangelizzazione e missione. Autonomia e comunione, diversità e unità. Sono concetti e valori che hanno caratterizzato, e caratterizzano ancora, le chiese battiste. E se è vero che a causa delle debolezze umane hanno a volte portato le chiese a litigiosità, divisioni e senso di autosufficienza, è altrettanto vero che hanno anche ispirato in loro: senso di responsabilità, tolleranza e rispetto nei confronti del «pensiero diverso», lotta per la libertà di coscienza e di religione, e la volontà di una missione e una testimonianza comuni, basate su una fede nel Dio di Gesù Cristo che è libera, personale e consapevole. (Da Riforma numero 7 del 15 febbraio 2013)

Febbraio 14, 2013