Sermone I Giovanni 5:1-4:

Di Helene Fontana

Leggendo il brano dalla I Giovanni sul quale ci soffermiamo oggi, la frase che più mi ha colpita è stata questa: “i suoi comandamenti [di Dio] non sono gravosi”. Mi ha colpita perché mi sembra di vedere intorno a me (e qualche volte di vedere anche in me stessa) molte persone che sono invece aggravate da vari tipi di pesi. A volte da pesi davvero pesanti da portare, di quelli che ti tolgono le forze, i pesi della malattia, del lutto, di gravi problemi economici o lavorativi. Altre volte si tratta invece di pesi di tipo diverso, di quei pesi che sono il frutto – magari involontario o non previsto – delle nostre stesse scelte in ambito professionale o abitativo o riguardo al tempo libero o quant’altro, e che comunque ci causano preoccupazioni, drenano le nostre energie e prendono il nostro tempo. Ci sono sempre troppe cose che dobbiamo fare!

Se ci sentiamo così, o se abbiamo comunque in mente questa situazione che molti di noi si trovano a vivere, anche un’altra frase del nostro brano di I Giovanni ci potrebbe colpire, la frase che precede immediatamente quella che ho citato prima: “Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti”. Potrebbe spaventarci questa frase, o farci sentire ancora più stanchi di prima, perché ci dice che l’amore per Dio, la fede, non è soltanto un sentimento, qualcosa che riguarda il nostro spirito ed i nostri pensieri, ma che riguarda anche l’osservazione di alcuni comandamenti. “Ma come!”, potremmo pensare a questo punto, “come se non avessimo già abbastanza da fare, abbastanza di preoccupazioni! Adesso ci si mette anche Dio a chiederci quel tempo e quelle energie e quell’impegno che già ci vengono richiesti da tante altre parti”.

Finiamo però la frase, mettendo insieme le due parti che abbiamo commentato fino ad adesso. Suona così: “Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”. “Non sono gravosi …”. Dio non ci vuole sovraccaricare, allora, non è il suo scopo stressarci o appesantirci. Deve trattarsi perciò di comandamenti che ci possono fare del bene, che possono migliorare la nostra vita.

Se leggiamo gli ultimi versetti del capitolo quattro della I Giovanni scopriamo di quale tipo di comandamento si tratta, questo che dobbiamo osservare: “Se uno dice: ‘Io amo Dio’, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello” (4:20-21).

I comandamenti non gravosi di cui parla il nostro testo, allora, sono quelli che ci dicono di amare Dio e amare il fratello/la sorella. Vediamo cosa intende esattamente il nostro testo con queste parole. Quasi tutto il capitolo quattro della I Giovanni tratta dell’amore. L’affermazione fondamentale che troviamo in quei versetti è quella che ci dice che “Dio è amore” (4:16). E’ da lì che parte tutto, Dio ci ha amati per primo e ce lo ha dimostrato mandando in mezzo a noi suo Figlio, che è morto per noi e che così ci ha permesso di entrare in un nuovo rapporto con Dio e di conoscere, appunto, il suo amore. Riempiti di questo amore, anche noi abbiamo la possibilità di amare: “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (4:19). Possiamo condividere con altri ciò che noi stessi abbiamo ricevuto.

Giovanni non si stanca mai di ripetere l’esortazione ad amare: “carissimi, amiamoci gli uni gli altri” (4:7), “se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (4:12). L’amore per Dio, la fede, non è solo un sentimento, porta anche ad un nuovo modo di rapportarsi gli uni con gli altri, un modo che rispecchia quel servizio, quell’umiltà e quella attenzione che Dio ha rivelato in Gesù Cristo.

Giovanni ha scritto la sua lettera ad una chiesa. Quando parla di amare i fratelli (e le sorelle) si riferisce ai fratelli e alle sorelle nella fede. I figli di Dio, li chiama: “chiunque ama colui che ha generato, ama anche chi è stato da lui generato”. La sua preoccupazione fondamentale, allora, è l’amore tra coloro che appartengono alla comunità, un rapporto tra loro che rispecchia l’amore che hanno sperimentato da parte di Dio.

Può forse sembrare un po’ settario. Perché bisogna amare solo o in particolar modo i fratelli e le sorelle nella fede? E tutti gli altri, allora? Il Nuovo Testamento in genere, però, non ci chiede di limitare il nostro amore a chi si siede vicino a noi la domenica in chiesa. Ma ci chiede di non trascurare chi condivide la nostra fede, anzi ci dice di cominciare proprio da lì. E se ci riflettiamo un attimo, forse dobbiamo ammettere che è una richiesta sensata. Se non riusciamo ad amare coloro che sono più vicini a noi, coloro che ci sono fratelli e sorelle nella fede, come possiamo pensare di amare tutti gli altri?

Dio allora ci dà la possibilità di esercitarci nell’amore, di imparare ad amare i fratelli e le sorelle, di mettere in pratica il suo amore, nella comunità, per poi applicare ciò che qui impariamo anche in altre circostanze. Ci dà la possibilità di imparare a migliorare le nostre relazioni e a tirare fuori i nostri talenti per metterli al servizio degli altri. Ci dà la possibilità di “vincere il mondo”, come scrive Giovanni, cioè di uscire dai ragionamenti e dai rapporti che ci fanno male e che ci pesano e ci angosciano. E di agire finalmente non perché siamo costretti o siamo stati incastrati o perché ci siamo iscritti o abbiamo pagato o abbiamo firmato, ma perché siamo stati amati, da Dio.

Questo non può essere gravoso, o no? Amare ed essere amati ci rende più felici, migliora la nostra vita. Amare non può essere un peso. Eppure qualche volta lo diventa. Lo diventa quando non è la nostra fede a vincere il mondo, ma il “mondo” che si impone su di noi, così che “l’amore” per i fratelli e le sorelle, la fede, la vita comunitaria, diventino soltanto altri impegni stressanti, altre preoccupazioni, altri doveri, nella lista dei già molti che pesano sulla nostra vita. Invece di essere quella gioia, quell’ispirazione, quel dare e ricevere, quel condividere i pesi e quell’usare i propri talenti e sentirsi incoraggiati e sostenuti, che ci darebbe nuova voglia e nuova forza di vivere anche tutti gli altri ambiti della nostra vita.

Che non è tutto così lineare, così facile, lo sapeva anche già Giovanni, perché se amare fosse semplice e se fosse stato il sentimento dominante nella chiesa a cui indirizza la sua lettera, non ci sarebbe stato bisogno di ribadire con tanta enfasi il comandamento. Non credo, insomma, che Giovanni fosse un sognatore senza nessun sentore della realtà. Ma vuole invitare i suoi lettori di ieri e di oggi a (ri)scoprire una nuova realtà, la realtà dell’amore di Dio, e le trasformazioni che esso è in grado di operare per noi, quando accogliamo la sua indicazione, il comandamento non gravoso, di amare Dio e di amarci gli uni gli altri. Amen.

Luglio 3, 2017