Progetto Zimbawe e volontariato: l’importanza di una scelta di vita

Paolo Meloni*

«A volte penso che sono stato un po’ ambizioso nell’aver iniziato questo progetto, comunque io umilmente faccio appello al vostro aiuto». Questa frase è stata scritta dal pastore Chiromo dallo Zimbabwe e inviata al presidente dell’Unione battista (Ucebi), past. Raffaele Volpe, alla pastora Anna Maffei e, per conoscenza, a me. Rileggendola, anch’io qualche volta mi faccio delle domande al riguardo e, credetemi, sono domande che mi preoccupano molto. Il progetto, certo, è ambizioso: la costruzione della sartoria (intendo la costruzione in muratura) ci sta mettendo a dura prova. Ho ancora viva nei miei occhi la cerimonia della posa della prima pietra nel terreno davanti alla chiesa di Harare; ricordo i visi gioiosi delle persone che, all’uscita del culto domenicale, partecipavano alla cerimonia con canti e balli, come solo gli africani sanno fare. Ricordo con piacere la prima picconata di Anna Maffei, che a malapena riuscì a sollevare il piccone, suscitando i sorrisi dei presenti. Ricordo anche il breve discorso in inglese stentato che feci in quell’occasione, dove insieme al ringraziamento per la loro accoglienza, mi auguravo che si potesse portare a compimento questo progetto entro un periodo relativamente breve (nell’arco di 3 anni, avevamo ipotizzato). Ricordo l’invito del p­astore Chiromo rivolto ai membri della comunità a offrire la propria manodopera o qualche sacco di cemento, mattoni, sabbia o altro materiale da costruzione. Ogni offerta individuale veniva festeggiata con dei forti «Alleluia» da parte dei presenti. Ricordo il pastore Massimo Aprile che fece una preghiera di ringraziamento al Signore per la riuscita del progetto. Da quel giorno sono trascorsi due anni e mezzo. Il progetto era certo ambizioso, ma non tanto in quel periodo non ancora toccato dalla crisi finanziaria che avrebbe coinvolto l’Italia tutta e di conseguenza tutti i ceti sociali, comprese le nostre chiese battiste. Noi, come chiesa di Cagliari, con varie raccolte interne alla comunità e raccolta fondi esterni (concerti, bazar, passaparola ecc.), abbiamo raccolto 10.240 euro e ne abbiamo spediti in Zimbabwe 8.500, pari a 10,650 dollari ma, per la costruzione, ne occorrono molti di più, basti pensare che solo per il tetto occorrono circa 13,000 dollari. Da questa situazione nasce lo stato d’animo di Chiromo e nostro, stato d’animo ben comprensibile. La prima reazione è lo scoramento: come fare a raccogliere il necessario per ultimare la costruzione, senza tener conto dell’invio dei macchinari e del materiale per la sartoria dall’Italia fino allo Zimbabwe, con tutte le spese di trasporto e con tutti i rischi che esso comporta? Forse ha ragione Chiromo a dire che è stato ambizioso iniziare questo progetto? Fare il volontariato pro Zimbabwe è stato un fallimento? Non direi, perché i risultati concreti ci sono stati e ci sono e ne cito alcuni: costruzione di un pozzo ad Harare, un pozzo per la scuola elementare di Zororo, due pozzi negli ambulatori rurali di Mtanke e Manyoni, aiuto all’ospedale di Sanyati, aiuto al Seminario battista di Gueru, aiuto alla chiesa di Tafara dove è stato creato un centro nutrizionale, aiuto alla chiesa di Harare, progetto Ester (per creare una nuova famiglia per i bambini di strada), aiuto agli ambulatori rurali, programma di adozione a distanza… e sicuramente dimentico qualcosa. Sono tutti progetti realizzati con l’impegno di molti, di quelli che hanno donato soldi, ma soprattutto tempo e dedizione affinché questo popolo ricevesse un aiuto da parte delle comunità battiste italiane. Allora perché oggi ci sentiamo un po’ persi, perché abbiamo difficoltà a portare avanti il progetto Tabita per la costruzione di una sartoria? Dobbiamo reagire, dobbiamo incrementare il volontariato. Il volontariato è un’offerta della propria vita, è mettersi al servizio dei fratelli sofferenti, fa parte di una scelta d’amore profonda e personale. Tuffarsi nel mondo del volontariato parte quindi da un atteggiamento dello spirito umano, dove le colonne sono la gratuità, il dono, il contributo offerto liberamente. Il volontariato dona il suo tempo, le sue energie, la sua vita e coinvolge quanti incontra con la sua testimonianza. Talvolta sembra umiliante bussare al cuore delle persone, come bussa un mendicante, sperando di trovare cuori pieni di misericordia e di compassione. Il volontariato testimonia un amore gratuito e contribuisce alla costruzione della civiltà dell’amore. Le istituzioni, infatti, possono organizzare al meglio tutte le cose, ma nessuna di esse è in grado di sostituire il cuore dell’uomo. Grandi opere, sparse nel mondo, hanno le loro radici nella gratuità e nella fraternità. Ospedali, scuole, casa di accoglienza, villaggi per ragazzi senza famiglia, sono stati realizzati perché qualcuno ha saputo stendere la mano, farsi mendicante per venire incontro a quel mondo di fratelli e sorelle che vive nella sofferenza e nella povertà. La provvidenza di Dio manda avanti le sue opere e non fa mancare ai poveri ciò di cui hanno bisogno. Il volontariato, quindi, vive e opera nella gratuità e nella fraternità e racchiude in sé un «qualcosa» di evangelico che parla al cuore dell’uomo del nostro tempo, distratto dal denaro, che diventa spesso un unico valore e unico criterio d’azione. Voglia il Signore illuminarci e darci la forza di reagire affinché il progetto di aiuto allo Zimbabwe diventi una realtà. Aiutare chi soffre, aiuta a superare anche momenti di crisi e di scoramento. * responsabile progetto Tabita dell’Ucebi

(da Riforma numero 43 del 15 novembre 2013)

Novembre 13, 2013